La malattia di Parkinson : L’assistenza…( seconda parte )

L’assistenza è fatta da chi, come voi, riesce, grazie ai vostri sforzi e alla vostra tenacia, a fornire le cure necessarie ad un familiare o ad un amico malato, disabile o debole attraverso attività quotidiane di cura della casa, igiene personale e assistenza medica. Assistere un paziente affetto da questa malattia, diventa assai complesso, anche in virtù della complessità dei sintomi e della malattia stessa. Osservando pazienti con il Morbo di Parkinson possiamo renderci conto dei notevoli bisogni assistenziali legati alla mancanza d’indipendenza nella vita quotidiana, alla impossibilità a svolgere le cure quotidiane (lavarsi,vestirsi), alla incapacità di portare avanti attività sociali e hobby. Per questo è importante stimolarli e sostenerli sia da un punto di vista fisico, sia psicologico. L’assistenza va modulata in base ai bisogni che derivano da ogni singola fase della malattia.

Nella prima fase (quella dell’esordio) vi è il momento in cui la malattia viene diagnosticata; la famiglia e il paziente incominciano a prendere confidenza con il dolore e a chiedersi il significato che ha questa malattia. Obiettivo primario, in questa fase, è salvaguardare l’autonomia del paziente che tende a deprimersi, ad isolarsi e a perdere di autostima: incitarlo a programmarsi la giornata, indurlo a partecipare al suo processo riabilitativo e a mantenere i contatti con i curanti (fisioterapista, medico, logopedista) e l’ambiente circostante, fornire informazioni sulla malattia, sui farmaci e sugli effetti degli stessi; valutare le capacità di svolgere le attività quotidiane e verificare l’esecuzione degli esercizi motori.

Nella seconda fase (quella della cronicità) le limitazioni funzionali tendono ad aggravarsi e a compromettere la mobilità corporea e l’individuo manifesta già un quadro clinico tipicamente parkinsoniano (mimica facciale ridotta, parola lenta e monotona, scrittura alterata, parestesie e dolori, disturbi neurovegetativi quali la stipsi, ipotensione, seborrea, scialorrea). Obiettivo dell’assistenza: ritardare l’invalidità del paziente aiutandolo a stabilire mete raggiungibili instaurando un rapporto psicoterapeutico volto a rafforzare la funzione dell’ego e la restituzione di un senso di fiducia nelle sue capacità. Somministrazione scrupolosa della terapia negli orari e nelle dosi prescritte, incoraggiare l’assunzione di cibi graditi, ricchi di scorie e liquidi per evitare la stipsi. La deglutizione, a causa della rigidità potrebbe essere compromessa, quindi attenzione affinché il cibo non vada nel torrente bronchiale . Si rende necessario l’uso di ausili per mantenere l’autonomia nell’alimentazione. Ridurre la facies amimica, la rigidità di capo, tronco e degli arti superiori e inferiori con degli esercizi fisici. Incoraggiare la deambulazione e il movimento. Attenzione alla perdita di peso che può essere presente. Incitare e favorire le cure igieniche. L’ipersalivazione, e la conseguente perdita della stessa,  è un sintomo molto fastidioso specie per il soggetto che ne è affetto. Importante consultare il medico per impostare idonea terapia atta a ridurre il disturbo.

La terza fase è la più complessa dal punto di vista assistenziale: è la fase dell’immobilizzazione. La terapia inizia a perdere di efficacia, il paziente è quasi completamente inabile e non più autosufficiente, la morte avviene per malattie intercorrenti. In questa fase possono essere presenti: ipotrofia muscolare, osteoporosi, diminuzione del liquido sinoviale, caduta della gittata cardiaca, riduzione del volume circolante con rallentamento del circolo venoso, riduzione della ventilazione, broncopolmoniti, rallentamento psichico e neuromotorio, lesioni da pressione.

Obiettivo dell’assistenza: evitare o ridurre le complicanze da immobilizzazione ed assicurare una buona morte stando vicino al paziente ascoltandolo e facendogli capire che chi assiste comprende la sua sofferenza e tentare di confortarlo il più possibile. La stessa attenzione deve essere prestata ai familiari, in particolare se il processo di morte è lungo e travagliato. Valutare la capacità di tossire e la pervietà delle vie respiratorie, provvedere all’aspirazione delle secrezioni nell’orofaringe.  Evitare l’insorgenza di lesioni da compressione effettuando regolari cambiamenti posturali, aiutandosi anche con l’utilizzo di materassi antidecubito o archetti reggi lenzuola per evitare pressioni sulle parti del corpo più a rischio, dopo essersi assicurati che ci sia un’accurata pulizia della cute e del letto. Cura del cavo orale, della cute intorno alle labbra, dell’area cutanea intorno agli occhi, mantenere l’idratazione con due-tre litri di acqua al dì, mantenere il bulbo oculare lubrificato e invitare il paziente a tenere le palpebre socchiuse. In caso di incontinenza applicare il condom nell’uomo o il pannolone nelle donne. Il catetere vescicale deve essere utilizzato solo in casi estremi e a seconda delle necessità in quanto si rischia di far perdere di elasticità alla vescica. In qualsiasi fase della malattia quello che conta è il mantenimento dell’autonomia il più a lungo possibile e in più funzioni possibili. Particolare attenzione va posta anche all’ambiente e all’eliminazione di eventuali ostacoli che possono impedire o rallentare ulteriormente il movimento. Iniziative atte a mantenere in attività i pazienti ed a stimolare la motivazione possono costituire un importante supporto nello sviluppo della malattia perché possono modularne l’andamento favorendo una migliore qualità di vita dei soggetti stessi.   N.N A&V

“I campioni non si costruiscono in palestra. si costruiscono  dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità”

Cassius Clay

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